Alberti, Leon Battista, 1404-1472. Deiphira : manuscript, [not after 1472]. MS Typ 422. Houghton Library, Harvard University, Cambridge, Mass.

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solazare vezoso, et in ogni cosa usare facilita costume / et ligiadra maniera, et piacerli in qualunche virtu di te possi mostrarli proferirteli talle che la non ti sdegni / partirse talle chela te desideri; ritornar talle chela se allegri vederti udirti; et remirarti sempre lasiarli che pensare di te cosa pur lieta et amorosa, et cossi sempre seguire pascendo amore / de dolci iocondi ragionamenti. Ma dime pallimacro in che modo cadesti tu in questo amore? ciercasti tu il male tuo come vedo fanno molti che per tutto porgono gliochi a qualunche nova ferita. Pallimacro. Io non cherchava

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ne mi piaceva intrare sotto questa servitu quale hora provo, et primadate havia udito troppo era grandissima ma cierto i nostri animi qualche volta non sun nostri, et qualche volta ci conviene volere cosa che ci duole, quanto io affermo questo che sforzato mi con- viene amare. Amai contra mia volgia vuoli quello che mi dispiacea, et dispiacevami quello che al continuo prompto facea et dicea. Ne pero io restava de seguire dove la fortuna mia / mi con- duceva intanta miseria in quanta hora mi trovo. Qui me ha conducto la fortuna mia. Ma quale homo fusse si duro il

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quale non amasse sentendo se esser amato. Quanto certo io in molti modi conobi me molto esser amato. Philarco. Et qui anchora peccano i giovani iquali stimandossi digni de esser amati subito iudicano omni minimo sguardo venire da grande amore. Sono signi di vero amore; cangiar colore, rimirar fixo; cadendo col sguardo dolce aterra racorsi suspirando. Pallimacro. Molti piu che questi erano certi signi di vero amore quelli iquali mi vinsero adamare. O deiphira mia ate omni mio acto / omni parola omni cosa mia piacea. Tu fra le giente cum gliochi mi cierchavi

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da lungi. Tu mai eri sacia di lodarmi a tutti et proferirmi, tu quanto io era dove tu fussi mai ti pareva seno poco guardarmi infronte ridendo; et ragionarti meco, et quanto spesso tristo me vidi te rimaner dolorata / ove io da te me di per- tiva, et quante cagione non raro fingiesti per ritorvarti dove io fusse; et quanto sospirando spesso accusasti me che si tardo fussi ad amarti. Et io misero me, misero me / non so quale alhora presagio de mei che hora soffero mali mi impauriva onde forsi iudicasti che io fugissi te deiphira mia il quale hora ti siego piangiendo. O infelice me io dandoti piu

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schuse deiphira mia cossi tinsegnai quan- to hora sai troppo straciarmi. O pallimacro sfortunato che sciagura fu la tua fabricare / et porre in mano larme aquesta spiatata; conche ella hora mai si senta sacia sacia dacorarti questi qual soffero tuti sono mei colpi. Queste piaghe mortale sono in me da primi mei errori. | Imparate amanti non ubedite amore men che vi chiegia piu che gli altri piacie quel destrieri qual corre senza speronareb tropea[Scribal Intervention: switch a and b] chi fa quel che non vole, soffere duo mali quanto saffatica et quanto gli dispiacie. Ma tu deiphira mia sai ben cheio date merito senon pietade. Io mai fugi

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