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non sia intervenuto a me, e quali io misero mi non habbi troppo sofferto ma tanto mi si conviene poi che ogni cosa mal volentiera principiato mal finisse. Philarco. Mai fu amante che non si dolesse; mai fu amor; non pieno di sospiri et lacrime com- mune vicio di chi ama che sempre interpetra dicti / acti / et facti pur inpegior parte. Et sempre argumenta pure contra se ele piu volte crede quello che non e diquello che certo sia sempre dubita. Sete voi aman- ti cum la volunta troppo arditi; cum lopera troppo timidi; cum il pensiero troppo astuti; cum lastutia suspectosi; cum lo suspecto troppo creduli; cum credere troppo obstinati.
Elsif. 19r
El si vole dil passato solo ridursi a memoria le cose felice et liete et al presente prendere qualche modo quando il tempo vel con- ciede / e di di indi sperar meglio e senza troppo solicitudine bene aspectare. | Pallimacro. O philarco chi puo quanto vole nelamore non ama conviense volere quello che si puo. Et come posso io dil passato non dolermi; poi che a si gran torto mi ritrovo haver perduto quello [Marginalia: tuto] che mi facia amando esser felice et come posso io teste non piangiere se hora il mio servire acquista nullo altro che in- gratitudine? Cosa se trova niuna tanto molesta / o penosa quanto servire e non esser
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gradito; et hora qual speranza a [m]e [qui] puo mai relevare una minima parte de li miei mali poi che i tempi iqua[li] con tanto desiderio aspectavanmo a noi deiphira mia pieni di piaceri et sollaz[i] quei medesimi a me sono con tanta tri[ste-] za e despiacere passati. O fortuna mia | acerbissima que luochi quali io mi fidava fossino a nostri dilecti piu ap[-] parechiati et acti que medesini sono a me stati et chiusi e pieni di repulsa. Hei me pallimacro infelice e quelle persone quale io mi pensava fossino a le nostre expectatione e desiderii quanto doveano prompti et utili tristo me. Oi tris
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to me quelle medesme sum state casone dogni mia callamita; hora ho dolore in me acerbissimo da chi posso sperare piu mai aiuto alcuno / poi che di chi io piu mi fido / piu me nuoce. O idio o quanto amore fugi in picol tempo. n Philarco. Tristo pallimacro, quella tua deiphira quale tanto amava te / non amella piu quanto solea? Pallimacro. Non ami piu no deiphira mia non ami mi non, et emi tecco intervenuto come spesso si vede chi da lungie tiene il thoro alazato seguendolo se forse fugie; egitante la terra si gli si rivolgie et si se ferma in molti modi lo incita a mo
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versi e cossi lo infesta, persino che volgie la fune a qualche fermo luoco, onde poi scostatossi ride videndo il thoro legato solo nuocere a se stesso hora cozando al ven- to hora apparichiandossi indarno a nuovi conbatimenti cossi tu a me deiphira mia et puoi che me stessi hebbe avolta a quelle ferme promesse quale fino a hora mi ten- gono a ti sugieto tu subito incomminciasti a sdignarmi, tu deiphira mia qual prima eri tanto lieta videndomi qual prima temendo stare qualche giorni senza spesso rivedermi lacrimasti; tu hora in prova mi fugi / et me hai senza cagione alchuna in fastidio troppe; et in odio, tu quando